L’UNIVERSITÀ DI TORINO AL LICEO CLASSICO DI MONDOVÌ: Il progetto ARBor

Mercoledì 10 gennaio tutte le classi dell’Indirizzo Classico Mondovì hanno partecipato a due conferenze ...

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Mercoledì 10 gennaio, nell’Aula Magna della Scuola di Musica di Mondovì Piazza, tutte le classi dell’Indirizzo Classico del Liceo “Vasco Beccaria Govone” di Mondovì hanno partecipato a due conferenze curate dai docenti dell’Università di Torino, Proff. Luigi Silvano e Anna Maria Taragna, nell’ambito del progetto “ARBor – Atene, Roma, Bisanzio: la ricerca universitaria incontra la scuola”: progetto innovativo e molto importante, che realizza una concreta e proficua sinergia tra questi due mondi.
Il primo intervento, incentrato su Platone (Erodoto) e il mito di Atlantide, si è aperto con un’opportuna premessa sull’importanza della ricerca a livello universitario, non certo unicamente riservata alle discipline scientifiche, ma essenziale anche nel campo umanistico. Il Prof. Silvano si è particolarmente concentrato su due dialoghi di Platone, Timeo e Crizia, nei quali compare per la prima volta assoluta il “mito di Atlantide”, argomento di innegabile fascino. Un’attenta analisi di alcuni passaggi di tali opere ha consentito al relatore di argomentare efficacemente la propria posizione in merito alla (presunta)esistenza della civiltà atlantidea, che è, in realtà, una mera invenzione platonica (come d’altronde accade per tutti gli altri miti da lui creati) per trasmettere nel modo più chiaro ed efficace un messaggio filosofico, la cui comprensione avrebbe potuto risultare altrimenti più ostica al lettore medio.
Dopo aver illustrato le varie posizioni, più o meno stravaganti, sostenute dagli Atlantologi, il Professor Silvano si è nuovamente concentrato sul mito platonico in modo da far risaltare le affinità con alcuni passi delle Storie di Erodoto, autore certamente ben noto al filosofo (e al suo pubblico), stante la grande fama che aveva conseguito mediante le pubbliche letture panelleniche e il fatto di essere stato amico e collaboratore di Pericle. Ancora una volta, è emerso il valore di dialogo tra autori, di perenne flusso di comunicazione e di interscambio che sostanzia la cultura classica.
Il secondo intervento ha avuto tutt’altro tema: la condizione femminile nella cultura bizantina. Donne ieratiche, vergini, imperatrici costellate di gemme dal capo ai piedi, sui cui visi affiorano le tracce d’una bellezza erotica e casta; questa è, nel migliore dei casi, la rappresentazione più popolare della femminilità a Costantinopoli.
Una volta che l’egemonia di Roma decadde per sempre, soltanto il lato sinistro del suo cuore continuò a battere, trovandosi a fronteggiare l’urto dei secoli e delle incursioni.
Bisanzio, la nuova Urbe per antonomasia, divenne il crocevia dei saperi, delle carovane mercantili e migratorie, delle nuove fedi; così i suoi uomini, i Romèi, nuova pronuncia dell’antico “Rōmaîoi”, nascevano con una cultura naturalmente sincretica: eredi d’un impero latino, ma parlanti il greco, epigoni della Classicità, eppure cristiani nello spirito, i Bizantini furono i custodi d’una tradizione riepilogativa e critica altrimenti perduta, che sbarcò ad occidente solamente quando, nel 1453, dopo una storia più che millenaria, Costantinopoli conobbe il suo tramonto.
“Chi dice donna dice danno” questo è stato l’esordio della Prof.sa Taragna: una paronomàsia ancora alquanto proverbiale. Le questioni sono due, una esplicita, l’altra in sordina: chi erano le donne di Bisanzio, quali erano i loro nomi ed i loro appellativi, a quali stereotipi rispondevano? Di conseguenza: quanto il ritratto superstite di quel mondo può raccontarci dei nostri giorni?
La civiltà bizantina, forse proprio in ragione del suo sincretismo, non è esente da contraddizioni: se da una parte osserviamo una società raffinata ed erudita, il retro dell’arazzo svela una trama di pregiudizî, di misoginia, condizione che in fondo non era estranea alla Grecità, ma che senza dubbio si acuì di pari passo al propagarsi del Cristianesimo. La donna già nel passato era spesso designata come fonte d’ogni male, incarnava nell’opinione comune Pandora che scoperchia il vaso; d’altra parte furono gli stessi Greci, in primo piano con la tragedia e nell’epica, che consacrarono donne eccezionali all’immortalità. Ben altro destino, però, ebbero le donne bizantine, oppresse dal costume cristiano, il quale subito affiancò a Pandora il profilo biblico di Eva, colei che deviò Adamo e portò tutte le tribolazioni dell’Umanità. Le donne, anche a Costantinopoli, restano racchiuse nelle mura domestiche, nella casa del padre, del marito o del Tempio di Dio. Tutte le altre al di fuori sono considerate prostitute o barbare.
Tuttavia alcuni nomi di donne notevoli si sono eternati: due Teodore: l’una sensuale ed audace moglie di Giustiniano, che esortò gli uomini durante la rivolta di Nika del 532 d.C.; l’altra indefessa oppositrice dell’iconoclastìa; poi la poetessa Cassia, il cui inno ancora si canta durante le messe di rito orientale; la storica Anna Comnena, ardita principessa ed autrice dell’Alesside, alla quale fu persino dedicato un epitaffio dall’alto prelato Giorgio Tornikis; eppoi un innumerevole catalogo di sante venerate in quanto bellissime e vergini.
“Accadde che alcune donne,” spiegava la professoressa Taragna “per fuggire un matrimonio obbligato, per mantenersi caste o per una vocazione sopraggiunta in seguito alle istruzioni paterne, scegliessero di assumere vesti maschili e di entrare in comunità monastiche riservate ai soli uomini. Così si spiegano i racconti di Pelagia che si fa chiamare Pelagio, Atanasia che diviene Atanasio e Marina che muta in Marino”. Queste sante androgine sono il paradigma d’un mondo che conferisce dignità a donne eccezionali (non a tutte, ben inteso) e solo dal momento che rispecchiano canoni di virilità inconsueti, sia nella virtù religiosa, come nel caso di Pelagia e le altre, sia nella prodezza belligerante, come per la prima Teodora.
La donna di Bisanzio è una costante tensione tra Maria Vergine, sempre subordinata al Dio padre, e Pandora o Eva, la quale si riscatta solo in Maddalena, la prostituta redenta. In breve, queste sagome circonfuse di silenzio, ornate ed onerate di gioielli, ma orbate della loro carnalità hanno scordato le donne della Lisistrata di Aristofane e le assai più remote divinità ctonie pre-greche: di quelle non restano che magri reperti, quasi annichiliti dai successivi secoli d’oscurantismo e misoginia.
In conclusione, due splendidi interventi, che ci auguriamo vivamente siano solo la premessa di futuri, piacevolissimi incontri per realizzare una sorta di osmosi tra Liceo e Università, di cui noi studenti sentiamo particolare bisogno.

Gino J. Brenco, Martina Cagnasso, Elisa Olmo e Matteo Prucca.
V Classico Mondovì